Kenny Rogers cita la Capitol Records in giudizio a Nashville
Kenny Rogers va per i 74 ma è ancora sveglio e sa badare ai suoi affari. Quando la scorsa settimana ha scoperto che la Capitol Records ha tenuto all’oscuro lui ed altri artisti sotto contratto con l’etichetta di avere incassato ed essersi tenuta i pagamenti delle royalty derivanti dal download dei loro brani musicali da internet anziché corrisponderglieli non ci ha pensato un attimo e lunedì scorso ha fatto loro causa. Il procedimento, intrapreso presso il tribunale di Nashville dall’avvocato Richard Busch, è l’ultimo in una serie di cause simili intentate (e vinte) da altri artisti, come Eminem e Peter Frampton. L’accusa mossa alle case discografiche in ogni causa è sempre la stessa: esse hanno deliberatamente pagato una somma inferiore rispetto a quella che avrebbero dovuto grazie ad un sotterfugio amministrativo-contabile. Esse hanno cioè considerato le transazioni online legate al download dei brani come una vendita di “musica”, anziché di una licenza. La prima infatti prevede la corresponsione all’artista di una percentuale di guadagno inferiore in confronto al 50% di solito previsto per la vendita di una licenza. La causa mossa da Rogers alla Capitol non cita uno specifico ammontare di royalty digitali che sarebbero state trattenute illegalmente dalla casa discografica anche se egli li accusa di essersi tenuti in cassa per i 30 anni in cui ha inciso per loro non meno di 400mila dollari in seguito a “errori” contabili. Per anni la Capitol ha tra l’altro mantenuto il controllo sui guadagni derivanti dalle incisioni dei più grandi successi di Rogers registrati tra gli anni ’70 e gli anni ’80 sulle etichette United Artists e Liberty. In buona fede o no, sarà a questo punto il tribunale a deciderlo.