Darryl Worley – Live Club, Trezzo d’Adda (MI), 11 luglio 2011
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Ricordo ancora quando, nel 2000, vidi la faccia di Darryl Worley sulla copertina del suo primo cd in bella evidenza sullo scaffale del reparto “dischi country” in un negozio di Milano: ero alla ricerca di un cantante nuovo, che mi piacesse sul serio, e il mio sesto senso mi disse che “Hard Rain Don’t Last” poteva valere l’acquisto. A undici anni di distanza, avendolo seguito ad ogni uscita discografica, ho capito che quella fu una scelta saggia. Quel giorno però, se qualcuno mi avesse detto che nel 2011 Darryl Worley sarebbe venuto in Italia ad esibirsi avrei fatto molta fatica a crederci. Ed invece è successo. L’evento, organizzato da Country Music Network e US Motors, ha avuto luogo lo scorso 11 luglio presso il Live Club, ottimo locale per eventi dal vivo di Trezzo sull’Adda, a pochi chilometri da Milano.
Non si è trattato in realtà di un vero e proprio tour: Worley è stato nel capoluogo lombardo due giorni dopo la sua esibizione ad un festival norvegese insieme a Mark Chesnutt e dopo Milano è rientrato a Nashville. Ma la sua esibizione è stato un evento che rimarrà impresso nel ricordo dei fan presenti. Non molti, per la verità, ma tutti entusiasti ed emozionatissimi.
**** CONFERENZA STAMPA ****
Darryl, accompagnato dal suo tour manager, si presenta puntualissimo alla conferenza stampa, organizzata presso un bellissimo hotel di Trezzo d’Adda, nonostante il suo viaggio da Oslo a Milano sia stato assolutamente da dimenticare: la compagnia aerea ha infatti smarrito il suo bagaglio, lasciandolo con i soli vestiti che indossa e poco più («Non ho potuto neanche fare la barba…!» si scusa sedendosi). Tanto che si è fatto prestare un paio di calze bianche sportive, un paio di ciabatte tipo Fly flot ed una t-shirt che lui giudica bruttissima ma che in realtà – in fondo – non lo è affatto. Abbiamo solo 30 minuti. Darryl è un anticonformista: mal sopporta determinate consuetudini di Nashville e i compromessi a cui molti – troppi – artisti sottostanno pur di arrivare al successo. Lui ammette di aver pagato un prezzo non indifferente per aver più di una volta rifiutato la strada più facile ma – e questo è un concetto che ho sentito ribadire da moltissimi artisti venuti in Europa ad esibirsi – la libertà della propria musica vale qualsiasi sacrificio. Negli Usa sente di essere imprigionato: «Se vi dovessi dire la canzone con la quale vengo identificato vi direi “Have You Forgotten?”. Personalmente amo quella canzone, perché rappresenta molta parte di quello che sono; ma c’è così tanto di più oltre a quella canzone rispetto a ciò che faccio. E’ il problema che si presenta quando hai una canzone di quella potenza: è difficile andare oltre quella e vedere il resto nel prosieguo della tua carriera.» Se dovesse scegliere la canzone che più lo caratterizza ne sceglierebbe più di una, oltre a questa: «Direi “I Miss My Friend”, “Good Day To Run”, “Awful Beautiful Life”… così tante…! Negli Stati Uniti» aggiunge ridendo «vengono da me e mi dicono “Hey mi piace la tua canzone” e io dico “Sì ma… quale?!» [ride] Senza essere sollecitato, Darryl ci tiene a ringraziare l’Italia e il benvenuto che gli è stato riservato: «L’accoglienza qui è stata strepitosa. Mia moglie ed io siamo persone molto alla mano. Quando siamo arrivati all’aeroporto e abbiamo visto quei ragazzi che aprivano uno striscione ci siamo spostati lateralmente perché abbiamo pensato che stessimo intralciando un gruppo di fan che aspettava qualcuno. Fino a quando non abbiamo visto la mia foto sullo striscione! Ed è stato così affettuoso nei nostri confronti, perché sapete nel nostro paese non abbiamo gente che viene all’aeroporto con gli striscioni. Qualche volta qualcuno si avvicina e chiede un autografo o cose del genere ma qui ho pensato “Stanno scherzando?!” ma poi ho capito che era vero e sono molto riconoscente per essere qui!» [il riferimento è ad un gruppo di ragazzi che era andato ad attenderlo all’aeroporto come comitato di benvenuto, nda] Interessante il gruppo di cantanti che cita quali artisti tra i più importanti per la sua formazione musicale (e qui mi rendo conto del perché il suo stile musicale mi piace così tanto): «Merle Haggard, Willie & Waylon, e poi indietro fino a Jimmie Rodgers e Hank Williams sr., Gene Watson, gli Eagles… Non molto rock&roll, moltissimo country, bluegrass dalle origini ad oggi, e southern gospel» e proprio a proposito del gospel aggiunge «è stato un genere col quale sono cresciuto poiché mio padre era un pastore metodista e ci chiama “i cattolici del country” [ride] . Più avanti negli anni poi i miei gusti musicali si sono ampliati e oggi mi piacciono generi musicali che non avrei mai pensato mi sarebbero piaciuti allora, e devo ringraziare mia moglie poiché credo che abbia avuto qualcosa a che fare con questo.»
Quando si parla di mercato discografico country in Europa e della visione che di esso si ha negli Stati Uniti il discorso si fa interessante: «Non mi sono mai concentrato finora su questo come avrei dovuto fare» dice Darryl «Me ne sono reso conto molto tempo fa ma a maggior ragione ora, in occasione di questo tour in Europa. E’ molto importante per me, nella veste di cantante che ha avuto successo in questo campo. Ma le cose sono drasticamente cambiate e io stesso ho fondato la mia etichetta discografica e con questa vogliamo tentare di continuare il nostro lavoro di mainstream country con le radio americane negli Stati Uniti ma questo è molto importante perché alla gente in Europa piace il genere di musica che io sono andato a fare a Nashville e tutto ora sta cambiando…» A tal proposito, a conferenza stampa finita, ci dirà che con il suo grande amico Billy Yates (che molti di voi ricorderanno per essersi venuto ad esibire nel 2005 proprio a Milano – ne scrissi su Il Giornale) ha parlato molto dell’Europa ed insieme stanno pensando ad un progetto per tornare ad esibirsi qui molto presto. Apprendo che quando parla della sua etichetta discografica non si riferisce alla Stroudavarious Records, fondata da James Stroud, con cui aveva in progetto un secondo disco, “God & Country”, previsto in uscita entro l’anno. «No, stiamo lasciando [quel progetto, nda]. Quella esperienza è finita. Sto fondando la mia società. Proprio recentemente abbiamo trovato un finanziatore e come ho detto continueremo il nostro lavoro con le radio che suonano country mainstream ma sono in grado di realizzare album in maniera parallela e farli uscire in Europa e penso che saranno lavori qualitativamente superiori a quelli che potrei dare alle radio negli Stati Uniti. E la musica che porterei qui sarebbe quella che più naturalmente mi appartiene perché voi qui amate davvero la country music, mentre quella che si suona nelle radio nel mio paese non sono più sicuro cosa sia.» Pienamente condivisibile, dal mio punto di vista.
La crisi generalizzata, come sappiamo, ha colpito anche la musica country e ne sa qualcosa anche Darryl, che recentemente si è trovato costretto a fare dei tagli. Ne parla quando gli chiediamo se i musicisti che sono con lui in questo tour fanno parte integrante della sua band oppure li “recluta” per l’occasione: «Questi musicisti sono con me da molto tempo. Questo business è peggiorato tantissimo, anni fa sono stato costretto a ridimensionare i budget così ho dovuto lasciare andare un paio di loro coi quali suonavo da tantissimo tempo (il violinista e il pedal steel player) quindi sperabilmente quando comincerò a poter venire più spesso in Europa sarò in grado di trovare i giusti rimpiazzi per questi due elementi della mia band. Mi piace tenere i miei musicisti fino a che è possibile: c’è molta fedeltà in questo gruppo e speriamo di poter suonare dal vivo così come ci sentite sui dischi.»
Una domanda verte sulla discriminante che influenza gli artisti più quotati nel momento in cui devono scegliere dove venire a suonare in Europa. Alan Jackson è andato in Svezia, Brad Paisley in Inghilterra, ma nessuno per esempio va mai in Spagna, si comincia ora a toccare più spesso l’Italia… Come funziona? «Noi siamo qui perché non ci siamo dati una valutazione che andasse oltre ai nostri meriti come professionisti.» risponde Worley «Per quanto mi riguarda quegli artisti vanno a fare questi eventi per una cifra a mio parere esagerata: io non potrei spendere quello che loro prendono in tutta la mia vita. Ma li capisco: se anche io avessi deciso di fare quello che fanno loro e avessi il potere di chiedere quelle cifre me ne starei vicino a casa, uscirei coi miei bambini e farei soldi a palate probabilmente con sole 20 date all’anno. Ma ho sempre lavorato per vivere e non fa bene vedere che in altri posti dove non vai a suonare c’è gente a cui piace quello che facciamo e quindi continueremo a tornare… Ci metteremo più impegno sotto questo punto di vista rispetto al passato.» Poi si lascia andare a qualche considerazione amara, su cui però concordo: «Loro sono artisti fenomenali: io e Brad abbiamo cominciato nello stesso momento, nello stesso edificio… Lui aveva appena finito il college, mentre io avevo 35 anni… [ride] Per lui hanno letteralmente costruito un progetto professionale, ad opera di Joe Galante e della RCA, che lo hanno seguito dal momento in cui lui ha messo il piede fuori dal college fino a formarlo in quello che lui è oggi. C’è molto di simile ad un’associazione politica oggi a Nashville e non c’è modo di fermare ciò che è stato messo in moto…» Una battuta di Michele Sangion, organizzatore del Country Christmas di Pordenone, scatena una risata e ci trova tutti d’accordo: «Si, però lui sta meglio nei video anche perché è molto più basso di te, Darryl…» «…E non c’è bisogno di grandangoli!!» aggiunge ridendo Darryl «Questa è buona! Gli dirò quello che hai detto!»
Voglio chiedergli di “Have You Forgotten?”, di quanto il tema del patriottismo sia diventato per lui molto importante nei suoi album e di come i detrattori giudicarono questa canzone come un espediente per arrivare al successo in maniera più veloce, affermando che il patriottismo paga sempre, specie dopo l’11 settembre. «Il patriottismo» dice «ha sempre fatto parte del “pacchetto”, è il modo in cui sono stato cresciuto in una famiglia di militari. Sai, la gente parla, dice un sacco di cose… Quello che molta gente non sa è che noi non avevamo lanciato “Have You Forgotten?” come un singolo. A quel tempo avevo già un singolo che stava andando molto bene nelle radio. “Have You Forgotten?” era una canzone nuova di zecca che avevamo appena scritto. Una sera decisi che l’avrei suonata dal vivo al Grand Ole Opry, nella parte dedicata alla diretta televisiva dello show [gli ritorna la pelle d’oca al ricordo di quella esibizione, nda]. Il pubblico americano sentì questa canzone, iniziarono a scaricare l’mp3 della esibizione dal vivo e a mandarla alle radio in tutto il paese. La nuova canzone uccise il mio singolo che era già fuori. Quindi cominciarono a trasmettere la versione dal vivo di “Have You Forgotten?” del Grand Ole Opry e a quel punto le radio country dissero “Qui siamo alla presenza di un prodotto notevole, questo venderà più di un milione di pezzi in un attimo, devi creare qualche cosa con questo…”. Quindi la casa discografica – c’è una tale lunga storia dietro… – si è messa di mezzo, c’è stato un confronto duro in cui mi hanno detto cosa potevo e cosa non potevo fare, è subentrata la filiale di Los Angeles che ha deciso di costruirci qualcosa… Una storia lunga… Originariamente nei miei progetti avevo previsto di fare un EP con sei tracce (compresa “Have You Forgotten?”) venduto a metà prezzo, così che anche i militari avrebbero potuto permetterselo; quando la canzone prese il volo e diventò una hit tutti i grandi dirigenti di Los Angeles dissero che non era possibile, bisognava cavalcare il momento… Solo che io avevo già detto a un milione e mezzo di persone cosa avrei voluto fare così mi fecero fare la figura di quello che ne voleva approfittare. Ecco come è cominciata la lotta politica di Darryl Worley e da allora ho sempre continuato a combattere.»
La domanda successiva, da parte di Sara Civillini, verte sulle artiste country femminili con cui Darryl avrebbe piacere a fare un duetto: «Dolly Parton, Patty Loveless… mmm… [pausa]» «Lo so, Taylor Swift!» suggerisce Mitch, di Country Music Network, provocando la fragorosa risata di tutti. «No» replica Darryl «Carrie Underwood! Ecco… Un duetto con loro lo farei, anche se mi sa che con Dolly e Patty è un po’ improbabile. E poi Sara Evans, Lee Ann Womack, molto volentieri… Una buona domanda!»
C’è spazio per un’ultima domanda, che pongo io: «So che sei qui con tua moglie [Kimberly Perkins, nda]. Vorrei sapere: come riesci a bilanciare la tua vita tra il lavoro e la famiglia? E’ difficile per te? Lo dico pensando che sei anche molto lontano da casa…»
«Questa è la mia seconda moglie [SI RIDE] , il che dice molto a riguardo…» risponde Darryl «Onestamente provenendo da una famiglia con determinati principi avrei preferito non avere questo precedente. Ma è stato molto molto difficile pianificare tutto per averla con me in questo viaggio, però noi lavoriamo costantemente e lei è quasi tutto il tempo a casa a badare al bambino così abbiamo pensato che fosse bello avere qualche giorno per stare insieme e lei è letteralmente impazzita specialmente al pensiero di venire qui in Italia. Ha passato tutto il tempo al computer portatile per far vedere a sua mamma collegata con Skype il panorama fuori dalla finestra! [RIDE]»
E’ un’ultima considerazione che viene dal cuore, quella che è chiamata a fare Francesca Pelizzari, di Country Music Network, rivolgendosi direttamente a Darryl (che ha potuto capire tutto grazie al prezioso lavoro dell’interprete Laura Ferrara): «Forse il movimento del country in Europa si sta muovendo e sicuramente grazie a personaggi umili come lui, perché come ha detto prima sì, è vero, ha cominciato con Brad Paisley… E’ vero che lui adesso è qua perché costa meno, ma in realtà non c’è nessuna differenza: lui costa meno e basta. Ma non è meno bravo! Quindi è grazie a personaggi come lui che forse un domani potremo accendere la radio e ascoltare la musica che ci piace. Perciò l’unica cosa che gli si può dire è davvero “grazie”!»
Prima di salutarci, dopo aver fatto i complimenti a Francesca («Adoro sentirla parlare!») Darryl Worley ci tiene a svelarci un aneddoto legato alla storia della sua famiglia: «Il mio prozio tornò dalla Seconda Guerra Mondiale passando da New York City e qui sposò una giovane donna italiana portandola a casa sua, in Tennessee. Da qui è cominciato tutto. Il suo nome era Maria Antonietta Mamelito Worley! Lei è stata sempre una delle mie persone preferite al mondo ed ha portato un pezzettino d’Italia in Tennessee.» E il fatto che la commozione nel raccontarcelo gli porti le lacrime agli occhi ci rende assolutamente certi al di là di ogni ragionevole dubbio che, oltre ad un grande cantante, Darryl sia anche un grande uomo.
**** IL CONCERTO ****
Si comincia puntualissimi alle 22 con l’ingresso sul palco dei cinque, fidatissimi componenti la sua band: Jeff Jared alla chitarra elettrica, Dink Cook al basso, Monty Parkey alle tastiere, Tom Drenon alla batteria e Scott Ruthen alla chitarra acustica. Sia Tom Drenon che Jeff Jared conoscono Darryl ancora meglio avendo fatto parte della sua band in studio per “Sounds Like Life”. Come anticipatoci in conferenza stampa, manca la pedal steel: il dispiacere rimane grande ma il bravissimo Jeff Jared riuscirà, con lo slide della sua chitarra, a lenire in parte il mio dolore. Ad ogni modo una band di cinque elementi è una band di tutto rispetto e la potenza si sente fin dalle note iniziali dello show, che comincia alla grande con “HonkyTonk Life”. Darryl, che urla «Grazie!» facendo il suo ingresso, indossa gli stessi vestiti che aveva in conferenza stampa. Piccola variazione di testo nella parte finale di “Honky Tonk Life”, che si trasforma in “… I love the neon, I love Italy and I love the honkytonk life…”. Darryl ci tiene a farci sapere che non avrebbe volute vestire così: «Queste non sono le mie scarpe da esibizione normali, né i miei pantaloni da esibizione; né questa la mia maglietta per lo show… Ma da quando sono arrivato da Oslo, in Norvegia, la mia chitarra è l’unica cosa mia che mi è rimasta!» poi aggiunge: «Ma è la cosa più importante perché è il motivo per cui sono qua!» Gli è davvero facile scaldare il pubblico e mostra di essere a suo agio al 100%, tanto che poi dice: «A casa mia, in Tennessee, la maggior parte dei ragazzi country non indossa scarpe, quindi anche io ora mi toglierò queste cose» e da qui in avanti rimarrà a piedi scalzi con grande nonchalance. Attacca “Sideways” e prima che cominci “A Good Day To Run” arriva la notizia che hanno ritrovato la sua valigia e che gliela stanno portando in hotel. Dopo una comprensibile esultanza ci tiene a fare subito un po’ di ringraziamenti: innanzitutto ai rappresentanti della Aviazione Americana presenti tra il pubblico venuti a vedere lo show. «Uno dei motivi per i quali ero più preoccupato di perdere il mio bagaglio» dice «era che all’interno di esso conservo degli oggetti che loro mi hanno dato in passato e che non volevo perdere, tutto il resto si può sostituire ma quelle cose non avrei potuto». Gli altri ringraziamenti vanno a Mitch, a Country Music Network e a Country Power Station (la radio che, via internet, ci porta tanta buona musica country, nda). «Vi prometto una cosa» continua Darryl «Appena il mio nuovo progetto sarà finito, e siamo molto vicini al completamento, potrete sentire la vera musica di Darryl Worley e vi dico anche che torneremo a suonare in Italia!» Forse per celebrare giunge sul palco un giro di tequila per tutti. Dopo “Living In The Here And Now” decide di dedicare “I Miss My Friend” a George McAnthony (popolare cantante country italiano che un infarto ha prematuramente portato via lo scorso 7 luglio a soli 45 anni), meritandosi l’applauso sentito e sincero di tutta la platea. Mantiene il ritmo basso proseguendo con “Tequila Dance”, mentre invita i presenti a ballare, se ne hanno voglia. «Salute!» brinda alzando il bicchiere della seconda tequila che la moglie gli porta, per poi introdurre “I Just Came Back From A War”: «Sono un patriota e proprio come voi amo il mio paese e amo gli uomini e le donne che ci proteggono da coloro che ci potrebbero fare del male. Questa canzone è stata ispirata proprio dai militari e dalle cose che fanno. Per voi, ragazzi, che siete dispiegati là fuori: Dio vi benedica!» Altro giro, e questa volta l’applauso lo richiede per la sua band, The Crew, dopo il quale si parte con “Tennessee River Run”. Grande sorpresa a questo punto quando il suo bagaglio, finalmente arrivato, viene portato sul palco. «Il Signore è stato buono con me!» esclama mentre attacca “Family Tree”. E’ il momento dei classici e Darryl omaggia il grande Buck Owens eseguendo una bella versione della sua “Streets of Bakersfield” per poi lasciare tutto lo spazio che merita a Scott Ruthen che si cimenta in “Whiskey Bent & Hellbound”, grande hit di Hank Williams jr. (mamma mia come pizzica divinamente quelle corde Scott! E che voce!). Si ritorna al Darryl Worley d’annata con le mid-tempo “I Need A Breather” e “When You Need My Love”, prima della quale Darryl ci tiene a ringraziare lo staff e i tecnici che rendono possibile lo show. A seguire: “Jumpin’ Off The Wagon” e “The Way Things Are Goin’ ”. I soldati americani tra il pubblico richiedono a gran voce una canzone che vorrebbero ascoltare. Questo è il momento in cui Darryl li accontenta attaccando le note di “Unsung Heroes”, un singolo che egli ha registrato e reso disponibilie gratuitamente tramite il suo sito internet per i militari americani impegnati al fronte e che parla dei caduti nelle varie missioni di “pace”. La scaletta, nonostante non conterrà un paio di mie preferite, non delude affatto: arrivano ora “Best of Both Worlds”, “Sounds Like Life To Me” e “Nothin’ But A Love Thang”. Siamo oltre l’ora e mezza abbondante di concerto e sembra che Darryl non abbia proprio voglia di smettere. E’ davvero uno show convinto e convincente: la band è strepitosa e non sbaglia un colpo e l’intesa tra i sei si percepisce distintamente, rappresentando uno degli elementi fondamentali della buona riuscita dello spettacolo. La voce di Darryl è magnifica, baritonale ed intonata, piena e corposa. Lo senti quando dal palco arriva anche il sentimento e l’atmosfera è davvero familiare.
Prima o poi doveva arrivare, la si stava aspettando. E alla fine eccola, “Have You Forgotten?”, che Worley dedica a tutte le persone innocenti che, per una ragione o per l’altra, ci vanno di mezzo per poi aggiungere – riferendosi ovviamente a Bin Laden – «…lo abbiamo stanato finalmente!». E via alla giusta apoteosi patriottica, con un applauso finale particolarmente sentito. “Awful Beautiful Life” monta nella chiusura finale ed è la giusta chiusura del set. Ma il pubblico non è ancora sazio: urla «One more song!», ancora una canzone, e quindi di buon grado Darryl rientra sul palco per omaggiare Merle Haggard con una trascinante “Mama Tried” per poi salutare tutti dopo due ore abbondanti di esibizione con “Was It Good For You” (andava bene per te?), che è anche la domanda che pone al pubblico e la cui risposta – me compreso – è sicuramente sì!
«God Bless You All!» urla Darryl mentre saluta. Che Dio benedica anche lui, che per una sera ha portato il suo cuore e l’odore di Nashville a Trezzo d’Adda.
Massimo Annibale
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Foto: Massimo Annibale & Joan Enric Clofent
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