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CMA Music Festival 2011: io c’ero!

Posted by CountryStateLine on 19th ottobre 2011 in Home (News)

Come già l’anno scorso, ospito volentieri il racconto del CMA Festival di quest’anno scritto da Gloria Tubino, una cara amica nonché grande appassionata di musica country. Come ogni anno a giugno, Gloria si è recata a Nashville (quest’anno dal 9 al 12)  per vivere i quattro giorni del festival più entusiasmante ed eccitante del mondo per un fan della musica country e i suoi resoconti sono sempre pieni di slancio e ardore. E’ davvero una grande amante del genere e leggendola ve ne renderete conto anche voi. Per chi c’è stato e per chi vorrebbe andarci (l’anno prossimo dal 7 al 10 giugno). Buona lettura!
M.A. 

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Di Gloria Tubino
C’è una canzone di Brad Paisley, “This Is Country Music” che secondo me esprime perfettamente l’anima di questa musica, dei suoi fan e lo spirito di questo meraviglioso festival.
La musica country è unica, è coraggiosa, non teme di affrontare temi scomodi e delicati. La musica country non è qualcosa di impalpabile al di sopra dei suoi fans. Come dice Brad Paisley la musica country è tra i suoi fans, li circonda, li abbraccia, li fa sentire importanti. Ed è proprio questo che si capisce durante i 4 giorni del CMA Music Festival a Nashville.
In questo magico week end di giugno si respira un’aria di festa, di unione, di amicizia. Mani che si stringono, sorrisi sinceri, abbracci, foto, promesse e auguri, sogni che diventano realtà.
Cosa c’è di più bello che percorrere 10.000 km e farsi abbracciare dal proprio cantante preferito che esclama: “Grazie per essere venuta fin qui! Dio ti benedica.”
Quest’anno, ricorrendo il quarantesimo del Festival, gli organizzatori non hanno fatto mancare i grandi nomi e le sorprese, alcune proprio inaspettate.
La prima sera il concerto all’LP Field è stato aperto dalla acclamatissima Zac Brown Band che, tra un brano e l’altro, ha invitato sul palco Alan Jackson, Amos Lee e Randy Travis (la sua è stata una performance stupenda, una voce perfetta da vero country man). Un posto d’eccezione se l’è guadagnato Easton Corbin che ormai è diventato l’idolo delle ragazzine.
Dopo la dinamica performance di Sara Evans è stato il momento di Jason Aldean. Il suo country-rock piace, trascina le folle. Jason è un personaggio giovane, pulito, dall’aspetto rassicurante e inconfondibilmente country. Il suo brano “My Kinda Party” ci ha elettrizzato tutti.
La chiusura della serata è stata affidata al grande Brad Paisley. Sentirlo suonare è come fare un viaggio in un mondo incantato. Per il suo show il pubblico si è preparato imparando poche semplici mosse da eseguire durante il suo brano “Working On A Tan”. Immaginate che effetto vedere 50000 persone che si muovono a tempo cantando a squarciagola. Ma l’emozione più grande l’ho provata quando a metà del brano “Old Alabama” sono spuntati gli Alabama!. Il cuore ha iniziato a battere all’impazzata: io ho iniziato il mio viaggio nel mondo della country music con gli Alabama, ascoltando fino allo sfinimento “Tennessee River” e sentirla dal vivo mi ha commosso. Sono tornata ragazzina quando ero così attratta da queste nuove sonorità, dove il violino e il banjo la facevano da padroni.
La sera di venerdì è stata così densa e ricca di grandi nomi che si stentava a crederlo. Dopo l’apertura di Ashton Sheperd, Dierks Bentley ci ha rapito per una mezz’ora piena di ritmi incalzanti. Dopo di lui è stato il finimondo con l’arrivo di Keith Urban che passato sul palco dopo qualche minuto si è gettato tra la folla e ha proseguito il concerto dagli spalti. Gli uomini della sicurezza hanno faticato non poco a respingere il fiume di fan che impazziva al suo seguito. Keith Urban riesce sempre a stupire, perché ad un primo approccio sembra una persona fredda, distante ma quando sale sul palco, imbraccia la sua chitarra, saluta i suoi fans con una calda risata e dona l’anima. Ecco perché credo in quello che dice Brad Paisley quando dice che la musica country vive in mezzo alle persone.
Terminato questo strepitoso show il pubblico è andato in delirio perché dal buio del palco è arrivata lei: Shania Twain. C’è stata un’ovazione, seguita da un breve discorso di ringraziamento di Shania e poi un’amara delusione perché la pluri-premiata star canadese non era lì per cantare bensì per presentare gli Sugarland. La tristezza si è subito dissolta vedendo arrivare quello che ormai da diversi anni è il duo del momento (quest’anno più che mai dopo lo scioglimento di Brooks & Dunn). Jennifer è una donna dall’energia infinita e Christian è un abile front man che sa di avere accanto un vulcano e perciò non si risparmia.
Dopo i Lady Antebellum, sempre acclamatissimi ma così poco country, la chiusura è spettata a una regina della musica country: Reba. Il suo feeling con il pubblico è palpabile, c’è un filo che unisce il suo cuore a quello dei 50000 spettatori dell’LP Field, c’è un amore che dura da oltre 30 anni e che nessuno è riuscito a scalfire.
Il sabato sera è stato caratterizzato da alcune piacevoli performance acustiche di Clint Black, in splendida forma, e dei Thompson Square.
Chris Young, con un album di prossima uscita e molto pubblicizzato, si è presentato con un look rinnovato, privo di stetson e di quell’aria da cowboy tenebroso che lo aveva reso uno dei più amati bachelors.
La performance dei Little Big Town mi ha lasciato di stucco perché tra un successo e l’altro hanno eseguito anche una versione bluegrass del brano di Lady Gaga  “Born This Way”.
Dopo questo gruppo ormai fedele da anni al Festival, è stato il turno della voce più profonda d’America: Josh Turner. Dopo averci fatto fare un giro sul suo “Long Black Train” ci ha sorpreso con un duetto con Scotty McCreery fresco vincitore di American Idol 2011. Nonostante la sua giovane età, il ragazzo non sembrava per niente intimorito dalla folla oceanica e devo ammettere che ha cantato “Your Man” in modo perfetto, eguagliando l’abilità di Josh Turner.
La serata è proseguita con l’arrivo del granitico Trace Adkins che, nonostante l’incendio che gli aveva devastato la casa qualche giorno prima, non ha rinunciato a regalarci 40 minuti di puro honky-tonk. Ecco: this is country music. Artisti che affrontano col sorriso i momenti di difficoltà e fanno di tutto pur di non mancare ad una promessa. Di sicuro in quei giorni Trace aveva ben altro per la testa: la paura per le figlie e la moglie che erano in casa quando è divampato l’incendio, le fiamme che hanno divorato gran parte dell’abitazione. Ma nonostante tutto l’amore dei suoi fans lo ha incoraggiato, lo ha consolato, gli ha dato l’energia per un concerto strepitoso. E’ sempre emozionante quando a fine concerto si toglie il cappello e ci ringrazia. Vedere un uomo di quella stazza capace di un gesto così delicato mi fa sentire fiera di appartenere alla grande famiglia della country music.
E dopo una montagna di muscoli è stato il turno di Martina McBride, esile ma d’acciaio!
Il suo concerto risulta essere sempre il più apprezzato perché Martina riesce a trasmettere un amore sincero attraverso le sue canzoni. Tutti gli anni lei è presente, e tutti gli anni al termine dell’esibizione c’è una standing ovation di 5 minuti che le riempie gli occhi di lacrime. Questa è country music: Martina che con gli occhi lucidi prima di congedarsi ci regala “Indipendence Day”.
La chiusura di questa  serata ha visto protagonisti i Rascal Flatts con un concerto “ai 100 all’ora” come nel loro stile, con un Gary LeVox che cattura con il suo entusiasmo e la sua voce così country.
L’ultima serata è stata quella un po’ meno country, con protagonisti le nuove leve come The Jane Dear Girls, con uno stile lontano dai canoni che può far arricciare il naso ai puristi. A loro difesa devo ammettere che sono abilissime nel suonare il violino e il mandolino. Per certi versi ricordano un po’ le Dixie Chicks.
The Band Perry si stanno godendo un successo strepitoso, sono il gruppo del momento che hanno azzeccato il loro ingresso nel mondo della musica con il singolo “      If I Die Young”.
Anche Darius Rucker nato dal genio di John Rich naviga ormai sicuro nel mondo della musica country e sembra non avere timore a raccogliere l’eredità di Charlie Pride, ne è veramente all’altezza.
La seconda parte della serata è stata quella che ho preferito. Blake Shelton, fresco sposo di Miranda Lambert, ci ha presentato il suo nuovo singolo, “ Honey Bee”, che personalmente ho amato da subito per la sua orecchiabilità e per il suo video così romantico. Blake si è dilettato anche in una carrellata di successi che hanno contraddistinto la sua giovinezza e insieme a lui abbiamo rivissuto i momenti della sua vita in famiglia, ridendo per i simpatici scherzi di cui era protagonista con la sorella o delle litigate che facevano da adolescenti. E’ bello scoprire anche un po’ del lato privato di una star. Ci aiuta a vederlo più umano, più vicino a noi, con i pregi e i difetti che chiunque possiede. Le star della musica country non si pongono su un piedistallo, non guardano il pubblico dall’alto in basso, ma lo rispettano, e cercano di condividere parte delle loro vite. E poi bisogna ammettere che Blake è molto alla mano e se qualcuno non lo apprezza o lo critica ci mette un attimo a intonare: Kiss My Country Ass!
Verso la fine del concerto è stato il momento di accogliere sul palco il suo amico Trace Adkins con il quale ha cantato il loro famoso singolo “HillyBilly Bone”. Inutile dire che a questo punto tutte le donne dello stadio sono andate in delirio!
Ero quasi certa che Blake avrebbe duettato anche con sua moglie ma forse per esigenze discografiche ciò non è avvenuto. Blake si è limitato a presentare Miranda, un vero vulcano, forse la migliore performer:  in quanto a energia e adrenalina non è seconda a nessuna. Miranda in ogni concerto dà l’anima, corre da un parte all’altra del palco, saluta, sorride, balla e suda. I suoi successi come “Kerosene” e “ Gunpowder & Lead” vengono eseguiti con una forza tale che ha dell’incredibile. Al termine del concerto il trucco sul suo viso è ormai sciolto, i capelli scompigliati e bagnati di sudore ma non c’è traccia di stanchezza nei suoi occhi. E questo fa aumentare l’amore dei fans per i loro idoli che si esibiscono gratuitamente senza percepire un dollaro e regalano degli show unici.
La chiusura della serata e del Festival ha visto protagonista l’incontrastata e osannata Taylor Swift. Un fenomeno nato pochi anni fa e cresciuto a dismisura e ancora in evoluzione. Una ragazzina che dalla provincia americana ha saputo trarre la sua fortuna, raccontando nelle sue canzoni la vita semplice di una teen ager fatta di amori, delusioni, scuola, amicizia. Cose semplici quasi banali che l’hanno portata a destreggiarsi in un tour mondiale poco più che ventenne.
Lo show era tutto perfettamente organizzato con la voce narrante di sottofondo, un abile gioco di luci e lei che troneggiava dal palco come una vera regina nel suo abito dorato.
Forse io sarò troppo nostalgica e critica ma ho ancora nel cuore e nella mente i concerti della ragazzina Taylor che si portava le mani sulle guance ed esclamava rossa per l’emozione: «Oh my gosh, it’s incredibile!» Quella che ho davanti ora è una donna fatta, molto sicura di sé nei movimenti e nelle parole studiate a tavolino; è una ragazza che sa ormai nascondere la commozione dietro un sorriso accattivante, è la nuova Taylor che a metà show, aiutata dalle guardie del corpo, si dirige al centro dello stadio dove è stato allestito un palco per un concerto tutto speciale: lei e la sua famosa chitarra di brillantini color argento. Quando attacca “Love Story” la mia ritrosia tende a svanire perché, nonostante non ci sia più la cara vecchia Taylor, a me piacciono le sue canzoni: sono orecchiabili, sono piacevoli, sono motivi che mi fanno compagnia durante l’arco della giornata. Anche se la sua voce ha ancora molta strada da compiere prima di raggiungere i livelli di Martina o Reba, bisogna dare onore al merito. Taylor lavora personalmente sulle sue canzoni, le scrive, le vive, crede in quelle parole. Questa è musica country.
Tra i concerti ospitati al Riverfront Park  io porterò di sicuro nel cuore quello dei Locash Cowboys, uno dei miei gruppi preferiti. Per me loro rimangono un fenomeno inspiegabile: questo è un duo sulla breccia ormai da diversi anni, sono in tournée 260 giorni l’anno, martellano l’America con i loro successi come “C-o-u-n-t-r-y” “Keep In Mind”, “Fight For Your Right” che sono scaricabili soltanto da internet. Nessun cd per questo duo esplosivo ma solo una tempesta di musica on line. Pare strano ma funziona: la loro “Street Army” raccoglie parecchi fans che tramite i social networks contribuiscono ad aumentare la fama di Chris e Preston.
Non si può poi non spendere due parole per i nuovi volti del panorama country: Josh Kelley, Frankie Ballard, Troy Olsen, David Nail, Brett Eldredge e James Wesley che si contraddistinguono per la loro faccia da bravi ragazzi, per i loro singoli molto apprezzati e spinti dalle radio locali e per la loro disponibilità durante la sessione di autografi.
Per quanto riguarda gli appuntamenti al Convention Center, bisogna sottolineare che quest’anno gli organizzatori hanno complicato la vita non poco imponendo i ticket anche per i cantanti sconosciuti. Quindi all’apertura dei cancelli iniziava l’assalto delle masse verso gli stand per accaparrarsi più tickets possibili. Senza quelli non c’era possibilità di incontrare i cantanti. Alcuni fiduciosi iniziavano a formare delle “hopeful lines” che poi si scioglievano quando ormai era evidente che non c’era speranza.
Anni fa la procedura era più libera: al mattino si sceglieva chi si voleva incontrare e ci si metteva in fila con pazienza, magari anche per attese di 3 o 4 ore. Quest’anno  il problema principale è stato ottenere i ticket, e l’abilità delle ragazzine è stata  strabiliante:  si muovevano come giaguari di stand in stand ottenendo decine di biglietti. La maggior parte poi veniva buttata perchè molti appuntamenti si accavallavano oppure decidevano di mettersi in fila solo per un grande nome.
Il Convention Center ha rischiato di crollare quando domenica  Dolly Parton si è presentata al suo stand per firmare autografi dopo molti anni di assenza. E’ stato commovente vedere che un’artista come lei, nonostante non sia più nei primi posti in classifica, goda ancora di grande fama. Il tempo non ha scalfito l’amore dei suoi fans. Non c’è American Idol che tenga: Dolly è un’istituzione amata dai giovani come dai veterani.
Ripercorrendo questi magnifici 4 giorni ho impresse nella mente immagini stupende. Nonostante il caldo, la folla oceanica con la quale bisognava combattere per ogni cosa anche per una semplice limonata, le ore rubate al sonno, se chiudo gli occhi rivedo gli occhi azzurri di Josh Turner,  le lacrime di Martina, il sorriso di Miranda, l’emozione di Keith Urban e non posso fare a meno di pensare : This is country music.
Tutte le foto di questo articolo sono di Gloria Tubino.
Dall’alto: Brad Paisley, Brother Trouble, Burns & Poe, Chuck Wicks, David Nail, Thomas Rhett Akins, Ty Herndon e Josh Kelley.